La nostra storia

Le ricerche condotte fino ad oggi e i documenti di archivio ci dicono che ufficialmente la Festa dell’Uva dell’Impruneta nacque nel 1928 quando ancora il paese si trovava sotto la giurisdizione del Comune del Galluzzo. Niente si sa di quella prima Festa ma tutto ciò che è stato conservato di quel periodo determina quella data d’inizio.

È certo dunque che questa è precedente all’atto del Governo Fascista che stabilì il 28 Settembre 1930 come giorno ufficiale dello svolgimento della prima Festa nazionale dell’Uva. Ma allora perché nel 2016 si è festeggiato i Novant’anni della Festa?

Perché dopo l’interruzione dovuta alla Seconda Guerra Mondiale, si è erroneamente stabilito che tutto fosse cominciato nel 1926, forse con l’intento di attribuire a Impruneta la primogenitura di questo tipo di manifestazioni. Da allora, ogni prima Domenica di autunno nella splendida cornice di Piazza Buondelmonti, si festeggia il frutto della vite con una sfilata di carri allegorici. Viene naturale domandarsi: perché questa Festa, a dispetto dell’età, vive ancora? Sicuramente perché non è una rievocazione storica dei bei tempi antichi, al contrario si tratta di una manifestazione in continua evoluzione.

Motore del cambiamento sono le persone che danno anima ai quattro Rioni, ciascuno dei quali ha un carattere ben definito e diverso dagli altri. Queste diversità si riflettono nel modo di vivere ed interpretare la Festa e ogni “popolo” ha la sua ricetta per coinvolgere emotivamente gli spettatori durante la propria sfilata. 

La lettura in filigrana delle sfilate lungo i Novanta anni di storia della Festa dell’Uva fa trasparire i fenomeni sociali ed economici che hanno segnato la storia del nostro paese e della nostra nazione. 

La festa Nasce in anni di crisi economica per promuovere il consumo d’uva. L’agricoltura è la prima fonte di reddito del territorio: grano, olio e vino i prodotti principali. In più l’Impruneta è famosa per il cotto e in paese ci sono falegnami, fabbri e piccoli artigiani. Le fattorie più importanti del paese, con l’aiuto degli artigiani chiamati per l’occasione, iniziano ad portare in piazza dei carretti che addobbano con uva bianca e nera. Completano il carro dei bimbi o giovani a fare da comparsa. Quella che sembra una trovata forse estemporanea in realtà cresce da subito in modo forse inaspettato.

Dal 1929 Impruneta diventa comune autonomo e forse anche questo fatto contribuisce alla crescita ed affermazione della Festa del nostro paese. Per i primi quattro anni la competizione è fra le fattorie: nelle cronache si ritrovano citate la pluripremiata Alberti di via Paolieri, Isola di Bagnolo e Botti. Contemporaneamente gli imprunetini iniziano ad organizzarsi, vogliono che la loro Festa possa distinguersi dalle altre che stanno nascendo nel circondario e decidono di realizzare costruzioni gigantesche sopra il pozzo che sorge nel bel mezzo della piazza principale: riproduzioni di fiaschi, tini, strettoi, aie con pergolati che destano l’ammirazione del sempre più numeroso pubblico arrivato da Firenze per partecipare alla Festa e godere della distribuzione gratuita di vino.
La Festa è pronta per il primo salto di qualità: si tratta di mettere a frutto quanto gli imprunetini dimostrano di saper fare così, nel 1932, il Comitato organizzatore disegna all’interno del paese i confini dei quattro Rioni corrispondenti ai i quattro “popoli” disposti lungo le direttrici principali che divergono dalla piazza principale. 

In meno di dieci anni le poche decine di persone che partecipavano alla realizzazione dei carri diventano un intero paese. I pochi spettatori della prima edizione diventano una piazza piena che applaude la bravura degli artigiani rionali che adornano i loro carri con quintali di grappoli disposti a formare figure ed oggetti. Negli anni dell’anteguerra l’attenzione è concentrata sulla riproduzione di oggetti, molto spesso ingrandimenti di grappoli, vasi vinari o attrezzi della vita contadina. Le comparse impersonano contadini in festa, più raramente personaggi mitologici o legati all’antichità classica. 

Le cronache si fermano all’edizione del 1938. Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale si interrompono i festeggiamenti. Impruneta pagherà un duro prezzo in termini di vittime civili e danni al patrimonio anche artistico. Negli anni fra il 1945 e il 1950 l’opera di ricostruzione materiale procede spedita. Nel contempo la guerra combattuta sul campo lascia il passo alle contrapposizione ideologiche alimentate dalla “guerra fredda”. La decisione di ripartire con la Festa trova notevoli ostacoli ed i promotori devono fronteggiare l’opposizione soprattutto di chi ne ricorda l’origine voluta dal regime fascista. 

Tuttavia nel Settembre 1950 la Festa dell’Uva di Impruneta riprende il suo cammino dal punto in cui si era forzatamente interrotto. La piazza gremita di folla, un tino gigantesco sopra al pozzo, i 4 Rioni, le frazioni, la fattoria Alberti; lo sforzo di tutto il paese è ripagato. Alla realizzazione dei carri allegorici lavorano giovani e meno giovani, molti uomini e sempre più donne, di estrazione sociale diversa e anche ideologicamente schierati su fronti di differenti. Con il passaggio dalla ricostruzione al boom economico la Festa, comincia a cambiare i propri connotati. Si iniziano a riprodurre sui carri oggetti che non appartengono alla vita contadina o direttamente legati all’uva: un treno, un veliero, una chitarra, una conchiglia, un mulino a vento. Le comparse aumentano di numero, ciascun Rione sviluppa la propria sfilata tipicamente su tre carri. Una giuria, posizionata in cima alla piazza, valuta il lavoro dei rionali. 

Dalla rinomanza locale anno dopo anno, anche grazie all’opera di promozione che ne viene fatta dagli organizzatori, la Festa diventa sempre più famosa. Ne danno evidenza le partecipazioni delle attrici Sylva Koscina, Sandra Milo e Sandra Mondaini e di celebri bande musicali. Non manca il concorso di bellezza che elegge Miss Uva. Gli imprunetini, come ogni toscano che si rispetti, non sono secondi a nessuno nella polemica e nella presa in giro: a festa finita le contestazioni e le recriminazioni sono all’ordine del giorno e la sconfitta di un Rione dato per vincente alla vigilia o che per diversi anni ha dominato la scena sono all’origine rispettivamente delle “Camiciole” e del “Funerale”. Nel primo caso chi è stato sconfitto prende la parola per accusare il vincitore di aver comprato la giuria cioè di avere confezionato una “camiciola”; nel secondo i vincitori (e a volte anche qualcuno degli sconfitti) celebrano le esequie di chi ha perso. Queste manifestazioni apparse in maniera estemporanea negli anni 50, sono state riprese all’inizio degli anni 80 e da allora si sono andate istituzionalizzando fino a diventare un appuntamento fisso del Lunedì sera dopo la festa quando a suon di canti, balli e soprattutto sfottò, tutti e quattro Rioni si divertono e si sfidano nel fare la paro- dia degli avversari.

Gli anni ’60 portano con se l’entusiasmo di una Nazione che si è rialzata e si è arricchita fino ad essere una fra le prime del mondo. La Festa ha bisogno di costumi, balli e musiche che non siano soltanto quelle delle fisarmoniche e delle chitarre che fino ad allora suonavano sui carri. Si scrivono sceneggiature e arrivano le prime registrazioni di voci che raccontano le storie rappresentate e brani musicali, generalmente classici o folkloristici, che le accompagnano. I buoi lasciano il passo ai trattori. Le comparse si fanno sempre più numerose. Non c’è più posto sui carri per accogliere tutte le persone che i Rioni fanno sfilare: è necessario che le coreografie possano essere sviluppate anche fuori dal carro, sulla strada. La festa si arricchisce di contenuti e punti di vista. Non basta più passare fra due ali di folla diventa necessario fermare il carro per poter sviluppare il proprio discorso. La festa cambia di nuovo il suo linguaggio: centrale è sempre la “costruzione” l’oggetto che denota la sfilata di ogni Rione, ma ciò che fa da contorno diventa sempre più importante e in non pochi casi risulta determinante nell’assegnazione della vittoria. Negli stessi anni arriva un’altra rivoluzione: i grappoli fino ad allora utilizzati per realizzare oggetti giganteschi, vengono schiccolati ed utilizzati con la tecnica del mosaico per ricoprire le costruzioni o per creare motivi ornamentali. 

Le ricerche condotte fino ad oggi e i documenti di archivio ci dicono che ufficialmente la Festa dell’Uva dell’Impruneta nacque nel 1928 quando ancora il paese si trovava sotto la giurisdizione del Comune del Galluzzo. Niente si sa di quella prima Festa ma tutto ciò che è stato conservato di quel periodo determina quella data d’inizio.

La festa è specchio del mondo: dopo lo sfarzo e l’opulenza del boom anni ’60 nel decennio successivo, complice la crisi economica, le tematiche sociali scendono in piazza. I rioni iniziano sempre più a sperimentare percorsi nuovi e alternativi scavando differenze marcate fra di loro nel modo di leggere la realtà ed interpretare la festa. Ecco che le Fornaci non hanno paura a mettere in scena contestazioni e denunce sociali; il Pallò concentra gli sforzi sulla coreografia, i movimenti scenici, la cura dei particolari, l’insieme spettacolare carro-sfilata; il Sant’Antonio sceglie la fantasia, il racconto epico mentre le Sante Marie mantengono dritto il timone sugli aspetti più propriamente tradizionali e contadini della festa. 

Anno dopo anno la preparazione degli spettacoli è diventata sempre più complessa: la superficie dei carri si è quasi raddoppiata e di conseguenza le costruzioni e le scenografie, si è arrivati negli ultimi anni a comparse composte da 300 persone per Rione ciascuna con un costume di nuova realizzazione. Il cuore della Festa dell’Uva di Impruneta è la vita rionale nel mese di settembre: per realizzare le sfilate è necessario lo sforzo di centinaia e centinaia di persone che fianco a fianco lavorano, litigano, si amano, si odiano, semplicemente stanno in compagnia. Al termine del lavoro quotidiano ci si trova al cantiere, alla sartoria, in cucina e per prima  

cosa si mangia insieme. Ecco trovata la forma di finanziamento che permette oggi alla Festa di andare avanti. Nata negli anni ’70 la cena al Rione, allora fra pochi intimi magari gli ultimi giorni prima della Festa, oggi è diventata un must anche per tanti non imprunetini e sotto i tendoni attrezzati con tavoli e panche si arrivano a servire anche 500 persone.Arriviamo agli anni ’80 nei quali si ha una vera e propria rivoluzione nel modo di pensare e proporre le sfilate: innanzitutto la struttura portante dei carri passa dall’essere in legno all’intelaiatura di metallo ampliata nelle dimensioni e nella capacità di portata. Vengono poi introdotte significative novità dal punto di vista dei materiali, delle costruzioni e principalmente nella rappresentazione scenografica. Il 1985 ed il 1986 possono essere considerati anni di cesura, di taglio con il passato: vengono presentati progetti che anticipano le tendenze degli anni successivi. L’introduzione del polistirolo e la possibilità di utilizzarlo per modellare statue ed oggetti giganteschi di grande effetto, la sorpresa del carro coperto che si svela solo in piazza, l’importanza delle coreografie e dei movimenti scenici a terra che riempiono lo spazio antistante la Basilica, la piazza intesa come teatro ed il carro come una quinta di scena, queste alcune innovazioni di quegli anni che ancora oggi vengono utilizzate. A ciascun Rione viene accordata mezz’ora di spettacolo per sviluppare il proprio tema. Novità anche per le colonne sonore nelle quali la musica classica viene prima affiancata e poi soppiantata dal rock: Giuseppe Verdi e i Pink Floyd, Maurice Ravel e i Rockets. Il ritmo del racconto diventa più incalzante; dall’atra parte il pubblico è sempre più esigente essendo abituato agli spettacoli televisivi e alla cinematografia. 

Notte insonne dopo notte insonne gli anni ’90 proiettano la Festa nella modernità: il bagaglio di innovazione degli anni ’80 viene consolidato, il ritmo delle sfilate diventa incalzante, l’impatto scenico dell’insieme carro-sfilata aumenta nel pubblico la suggestione.
A metà del decennio prende campo la tendenza del carro transformer, cioè di una costruzione che all’inizio appare in un modo e finisce per diventare qualcos’altro. Le novità spesso premiano chi le propone e con il passare degli anni e finiscono col diventare patrimonio di tutti. Oggi i carri che si trasformano, le quinte che si muovono o ruotano, i colori che cambiano, gli oggetti che si compongono con l’aiuto dei figuranti o di ingranaggi e meccanismi complicati sono all’ordine del giorno.

Festa dell’uva 2.0.

In maniera discreta, avanzando a piccoli passi, inesorabilmente la tecnologia e l’informatica così come accompagnano e a volte condizionano le nostre vite sono entrate a far parte della Festa. Ogni Rione ha un suo sito web, un profilo sui social network. I gruppi rionali di messaggistica telefonica facilitano lo scambio di informazioni e raccolgono centinaia di partecipanti che si scambiano auguri di compleanno, notizie circa gli orari delle prove dei balletti, turni di servizio in cucina. Molto del lavoro sul polistirolo, fino a qualche anno fa completamente realizzato a mano, oggi può essere fatto tramite stampaggio digitale. Le colonne sonore un tempo realizzate su nastri magnetici di grande formato, oggi viaggiano su supporti digitali. Tuttavia si tratta di strumenti che facilitano la realizzazione e la comunicazione delle idee ma non modificano lo spirito che sta alla base della Festa: la socialità e la solidarietà. Far parte di qualcosa insieme a qualcuno realizzando un’idea, a volte un sogno. Condividere l’adrenalina e le lacrime. Ogni anno prendono vita sfide sempre più complesse: in primis di ogni Rione con se stesso.

Negli anni 2000 gli elementi scenografici e coreografici, compresi i costumi, hanno generalmente preso il sopravvento su storia e costruzioni. Per mettere a punto questi meccanismi teatrali non sempre l’aiuto di professionisti esterni all’ambiente imprunetino si è rivelato vincente, al contrario sono nate, in seno ai Rioni, delle professionalità che vengono spese anche al di fuori del nostro paese. 50 anni fa si rimaneva impressionati da come erano state realizzate, ingigantite e magari ricoperte d’uva, una caravella, una chitarra, un grammofono, un anfora antica. Oggi l’alchimia è rappresentata da quell’attimo nel quale chi osserva si emoziona difronte alla bellezza diffusa creata da musica, colori, parole, movimenti, costruzioni.

R. Lazzerini, F. Venturi, L’UVA IN FESTA – I “90 ANNI” DELLA FESTA DELL’UVA DI IMPRUNETA, Firenze, Florence Art Edizoni, 2016.